Piccola Idea A.S.D. - WING TSUN - KungFu

:: WING TSUN - SI-FU : "maestro, educatore o istruttore"?

"Di tutte le cose necessarie alla vita i riti sono la più importante.
Senza di essi non è possibile stabilire gli onori dovuti agli spiriti del cielo e della terra,
distinguere il governante dal suddito, il superiore dal subordinato, gli anziani dai giovani.
Il rispetto per gli altri e per sé stessi è la base dei riti.
Il coraggio non adeguato ai riti è violenza".

Secondo la filosofia confuciana il nucleo principale della società è rappresentato dalla famiglia, una simile concezione si ritrova  nelle arti marziali di origine cinese, in cui l'insegnante viene generalmente qualificato con il titolo di “Si-fu” (padre), lo studente avanzato con il termine “Si-hing” (fratello maggiore), sino al completamento del lignaggio di stampo famigliare con il “Si-gung” e “Si-jo”, si ritrova, in tal modo, un parallelismo con i termini “sensei” e “senpai” nella cultura marziale giapponese.
Alla luce di simili particolarità sotto quale ottica dovremmo interpretare il ruolo del nostro insegnante? I termini maestro, educatore e istruttore possono apparire molto simili tra di loro ma possiedono sfumature determinanti.
L'istruttore mira a comunicare ai propri allievi le nozioni di base fondamentali di una data materia, l'educatore fa del proprio punto forte la componente morale ed etica, il maestro presuppone il raggiungimento della perfezione in una disciplina, qualità tale da renderlo in grado di padroneggiarla e insegnarla.
Si può quindi dedurre, con ragion veduta, che l'aspetto paterno, proprio delle origine stesse del termine, preveda la commistione tra l'elevata abilità tipica del maestro e la trasmissione di valori e concetti, etici e morali, propria dell'educatore.

“Sono cosi semplice che non puoi capirmi, sono cosi vicino a te che non puoi vedermi.”

Riuscire a mantenere una presenza continua e focalizzata è la base per poter affrontare con successo ogni attività, sia essa mondana, marziale o spirituale, tristemente, rimane spesso una capacità che molte persone danno per scontata pur non avendola mai realmente acquisita.
Questo non dovrebbe stupire nessuno.
La vita in cui, mediamente, siamo immersi è composta da un costante assedio di informazioni, stimoli sensoriali, richieste, il più delle volte siamo chiamati a fronteggiare numerose incombenze contemporaneamente,  la nostra mente si colma di preoccupazioni, doveri, giudizi, fantasie.

Combattere l'attitudine della “mente scimmia”, come la chiamano gli orientali, cogliendo il parallelismo del continuo saltare da un' albero all'altro dell'animale con il saltare da un pensiero all'altro della mente convenzionale, diviene, nelle condizioni di vita moderna, una vera e propria impresa che richiede una forte dose di disciplina interiore, e almeno all'inizio un investimento di energia a cui non siamo abituati.

Non essere presenti a noi stessi nel fatidico “qui e ora”, si traduce nella continua perdita di volontà e capacità di progredire nei nostri intenti, rincorrendo dei riflessi esterni al nostro essere, semplicemente, ci perdiamo.

Il mito occidentale di Narciso ne è un chiara e splendida rappresentazione, colui che perde la propria presenza rimanendo affascinato da un riflesso esterno a sé cade tragicamente nelle acque e muore, cosi accade che “quando guardiamo lontano perdiamo di vista ciò che è vicino, quando guardiamo al futuro perdiamo di vista il presente”.